Il cielo è di un azzurro intenso, non fa caldo, ma nemmeno quel freddo tipico di fine febbraio.
Lo osservo rilassata dalla dormeuse accanto alla finestra, che strano non trovarmi seduta sul freccia-bianca in direzione Spezia, domani avrei dovuto essere nella sede di Compagnia per preparare costumi e scene in vista delle repliche del 28 e 29 febbraio. Le province di Rovigo e Brescia mi aspettano, poi andrò in quelle di Trento, di Varese e finalmente a Venezia città. La tournée attraverserà, come ogni stagione, il centro e il nord d’Italia, chilometri e chilometri sul Doblò per portare i miei spettacoli nelle città e nelle province italiane, il mio lavoro da decenni, quello che fa di me un’Attricik a chilometraggio illimitato, che mi rende sempre molto felice nonostante l’immane fatica fisica e psichica che ciò rappresenta.
Mi piacerebbe tornare anche al Sud, Calabria, Puglia, Sicilia, forse ci andremo per la stagione estiva, sono posti così lontani che, a dispetto dei giorni di viaggio per raggiungerli, mi attirano sempre, per la bellezza dei luoghi, il calore della gente e soprattutto il cibo!
Fisso sempre il cielo azzurro e rifletto su questo insolito decreto del Presidente del Consiglio appena uscito, in data 23 febbraio, secondo cui i luoghi di spettacolo in Lombardia, Veneto e Trentino devono chiudere, pericolo contagio, questo strano virus che ancora non si capisce se sia, o meno, poco più di un’influenza, sta mietendo vittime e nel Lodigiano, come nel Bergamasco, hanno confinato la popolazione di alcune città e paesini come è già successo in Cina a Wuhan.
Le immagini dei cinesi chiusi in casa a milioni, da settimane ormai, controllati da poliziotti ed esercito con tanto di droni parlanti per redarguirti se ti trovi in strada senza motivo, si sostituiscono a questo cielo così terso, così bello.
Sta succedendo anche qui? Aspetto la risposta del teatro in provincia di Rovigo, forse ci andiamo, forse salta solo la data di Brescia. La mia organizzatrice intanto sta già lavorando per spostarla in aprile o maggio. Il calendario è pieno, difficile riuscire a trovare una data libera, dopo la tournée che finirà i primi di aprile, perché subito dopo entrerò in produzione con il nuovo spettacolo la cui anteprima è prevista a fine giugno al Festival Inequilibrio di Rosignano (LI). Ho già le date fissate per l’ultima residenza artistica e poi le prove con la mia coreografa a Parigi e quelle con tutta la squadra italiana, attrice e tecnici tra aprile, maggio e prima parte di giugno.
Nel frattempo squilla il cellulare, anche il comune di Occhiobello ha deciso di chiudere gli spazi di spettacolo e così sono già due le date da recuperare, e dopo qualche ora per verificare le disponibilità di tutti, riusciamo ad incastrarle tra fine aprile e i primi di maggio. Pazienza, se questo vuol dire più fatica, più chilometri, più stress, sono abituata, anzi ho vissuto di peggio nella mia carriera in termini di incastri.
L’indomani il cielo inizia a rannuvolarsi, arrivano le telefonate di altri teatri, delle cooperative dove mi aspettano per un laboratorio, della onlus a Milano con la quale abbiamo trovato a fatica una data per incontrarci e lavorare ai progetti futuri con il mio ultimo spettacolo Infanzia Felice, ci chiediamo se rimandare per sicurezza o aspettare di vedere cosa succederà il 4 marzo, magari si riparte.
Il decreto del 4 marzo invece ci regala un’altra proroga: “sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”
Il Trentino però ci conferma la data a fine marzo, loro hanno una sala dove il pubblico può stare alla distanza di sicurezza. Io già mi immagino agli applausi finali guardare quella platea a scacchiera, decisamente triste. Con immensa fatica posticipiamo tutti gli altri impegni laddove possibile a maggio, qualcosa per sicurezza va già a ottobre, solo le date di aprile resistono.
Il cielo si è rannuvolato parecchio, le temperature si sono abbassate, piove molto e io mi sono raffreddata.
Il DPCM del 12 marzo conferma le voci peggiori, l’Italia chiude tutto ovunque, entriamo nel cosiddetto lockdown.
Siamo i più colpiti dal virus dopo la Cina, e la provincia di Milano, Brescia e Bergamo sono al momento i centri della vera tragedia, mentre sale l’ansia che il contagio virulento arrivi al Sud dove non hanno l’eccellenza sanitaria del Nord.
Metto in fila i pensieri, prendo il telefono e stavolta inizio io a cancellare tutti gli impegni di lavoro e personali a Parigi, dove sarei dovuta rientrare il 13 marzo; è domenica 8 marzo, e un pensiero angosciante guida le mie azioni: “e se fossi infetta?! E se lo attaccassi a qualcuno?! Non posso nemmeno pensarci, non me lo perdonerei mai!”
In Francia mi dicono che per loro non ci sono problemi, però se mi sento più tranquilla “ok possiamo rimandare”, tempo una settimana anche il mio Paese d’adozione chiude, in fretta altri seguiranno in Europa e nel mondo.
Alla fine quattro miliardi di persone si ritrovano chiusi nelle proprie case, l’economia si blocca, il sistema possiamo tranquillamente dirlo, si spezza.
Tornano le belle giornate, non fa caldo, ma ci si può godere il sole alla finestra, il cielo limpido e quel qualcosa che mi si è spezzato dentro.
Mi si è spezzato il ritmo, si è interrotta la corsa, quella corsa forsennata tra lavoro e affetti, ritmata dai chilometri ormai illimitati di questi ultimi decenni. Non mi fermavo mai o allora quando lo facevo mi sentivo un po’ in colpa “ma come, sei a casa, a non fare niente, leggere un libro, guardare un film, chiacchierare al telefono, mentre fuori il mondo corre, produce, crea…” Mi permettevo questo lusso per uno, massimo due giorni ogni tanto, anzi ogni tantissimo.
Anelavo segretamente il momento del rientro dalla tournée settimanale, magari la domenica a pranzo, quando dopo aver scaricato il furgone, messo a lavare i costumi, espletato le pratiche amministrative, mi godevo il resto della giornata a letto, con quella sensazione di aver fatto tutto quello che dovevo e pure bene!
Il ritmo si è spezzato, le mie giornate hanno incoraggiato la strana sensazione di vacanza provata a fine febbraio, sdraiata sulla dormeuse a contemplare il cielo, che strano non trovarmi in viaggio, intenta a creare, recitare, incontrare. Ho pensato: chissà quando tornerò a viaggiare, a lavorare, incontrare gli altri …?
Il ritmo delle mie giornate adesso è diventato umano: mi alzo, faccio colazione, ascolto la radio, leggo le notizie, rispondo ai messaggi arrivati la sera prima, visto che abitualmente io vado a letto molto presto, poi mi lavo, mi vesto e mi metto a lavorare. Anche il lavoro è più umano, leggo e scrivo, creo mini video per progetti futuri, oppure intrattengo la mia comunità online, tanto la Compagnia è chiusa, la mia organizzatrice in cassa integrazione, e non si sa ancora quando e come la tournée potrà ripartire, quando potremo tornare a creare il nuovo spettacolo, come dovremo comportarci tra artisti e pubblico.
C’è un’immensa incertezza, eppure non mi spaventa, sono serena, io che fino a due mesi fa potevo vantarmi di essere laureata in “Controllo” con un master in “Organizzazione Suprema”
E’ stupefacente scoprire che tutto quello di cui prima sentivo un bisogno quasi viscerale, non sia affatto vitale, né fondamentale, certo mi manca la mia casa a Parigi, ma sono così felice di esser rimasta bloccata a Roma con il mio compagno, che la malinconia sparisce subito.
L’idea di passare questo tempo lontani, non potersi abbracciare per mesi, condividere la vita come stiamo facendo, mi rende subito triste. Penso a quanti giorni non ci siamo potuti godere prima, a causa dei nostri lavori, delle nostre passioni, delle famiglie sparpagliate tra Italia e Francia da raggiungere.
Il lockdown mi sta regalando l’occasione di ripensare il mio futuro, di immaginarlo con un’igiene di vita migliore – qui in casa ad esempio ogni giorno sfruttiamo il tapis roulant e abbiamo ripreso a cucinare sano, noi che prima vivevamo almeno cinque giorni su sette al ristorante – e soprattutto mi fa immaginare la possibilità di passare lo scettro di Attricik a chilometraggio illimitato a qualcun altra, magari restando ancora comodamente sdraiata sulla dormeuse.