Ovvero dire basta alla burocrazia come al tartaro
Da mesi ormai, forse già da qualche anno, arrivo a fine giornata completamente sfinita, mi guardo indietro e facendo l’elenco delle cose che mi hanno provata non trovo nulla che abbia a che fare col mio lavoro. Il lavoro di scrittura, quello creativo, quello produttivo nel senso reale del termine. Produrre contenuti, che pagati, mi fanno vivere.
Dove è finito quindi il mio tempo? Come ho passato la giornata? Possibile non sia riuscita a scrivere nemmeno una nota, un post per instagram, uno straccio di idea per un nuovo spettacolo? E come ho perso quell’oretta utile per rileggere un manoscritto a cui tengo e che vorrei uscisse dal cassetto in cui sta da anni?
“Colpa dei social!” penso subito, “devo togliere le notifiche” mi dico immediatamente dopo, “chiacchiero troppo al cellulare con le amiche” deduco logicamente. Poi quando vado in cerca delle prove scopro che l’ultima storia su Instagram risale a 5 ore prima, che le notifiche non le leggo da almeno 2 ore, che facebook sarà una settimana che non sa a cosa sto pensando, che a parte la chiamata con l’officina del Doblò non ci sono altri segni di vita sul mio cellulare. Eppure.
Eppure le ore sono passate, la lista di cose da fare sulla scrivania del Mac o su quella fisica dell’ufficetto ha le spunte e le cancellature che decretano il raggiungimento degli obbiettivi, peccato che riguardino tutti, costantemente e ormai da troppo, troppo tempo, l’amministrazione di compagnia!
Fatture da emettere, da pagare, F24 in scadenza, lista presenze da inviare, buste paga da bonificare, mail del consulente del lavoro, quelle dei (3) commercialisti, telefonate con l’ufficio amministrativo che gestisce per noi i contratti con i teatri, i nostri da attricik e tecnici, le agibilità (un documento INPS ex Enpals che non ha più nessun valore ufficiale, ma che i teatri devono continuare a richiedere … non commento oltre), i permessi SIAE, le procedure covid, quelle per la sicurezza, le firme che vanno ovunque, le mie, quelle del presidente, i solleciti di pagamento, le riunioni infinite per decidere chi farà cosa e quando, chi pensa a rispondere a chi, i problemi di rendicontazione, le mail con “urgente” scritto sempre in caratteri cubitali, che pensi sempre qualcuno stia morendo se non mandi entro 24h la foto per la stampa, ah già, dimenticavo la stampa, le interviste da concordare, i pezzi da controllare, gli articoli da bloccare …
Il LAVORO IMPRODUTTIVO. Quel lavoro che non produce assolutamente niente, tranne la perdita di tempo.
Perdita che impatta sul tempo per scrivere, immaginare nuove storie, curare uno spettacolo, godermi la tournée. Oppure non fare niente, passeggiare, chiacchierare con l’amica che non sento mai, dormire (ndr: questo post l’ho scritto stamani alle 5:30…)
Faccio l’attrice, e da una decina di anni anche l’autrice, teatrale e televisiva. Adoro costruire sketch, immaginare storie, leggere moltissimo, di tutto, tradurre, insomma AMO la scrittura e lo scrivere. Ed è per fare ciò che amo, che fondai 17 anni fa la mia compagnia, LaQ-Prod.
Ma negli ultimi anni ho visto però aumentare a dismisura il lavoro improduttivo, complice sicuramente l’aumento del lavoro, quindi delle responsabilità, e di cui certo non mi lamento, ma mi sta inquinando le giornate, sottraendo energie preziose, quindi sento urgente il bisogno di arginarlo.
Come? Trattandolo come il tartaro, dedicando quindi quotidianamente piccoli spazi – come l’igiene dentale – e una o due volte al mese effettuarne l’ablazione, intervenire cioè per rimuovere le placche/impegni più importanti.
In sostanza, banalmente, credo di aver dimenticato per troppo tempo che imporsi, dire basta, agire è sempre la migliore soluzione per evitare di soccombere. Al tartaro come alla burocrazia.